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Gli striscioni di Torino e “Un giorno per la nostra città”, le due facce del calcio

Serie B (Getty images)

SERIE B UN GIORNO PER LA NOSTRA CITTA’ / MILANO – Si sa, il calcio è uno sport che trascina, un fenomeno sociale, più che un passatempo. Quei novanta minuti diventano a volte solo il contorno di ciò che realmente comportano. Muovono masse, influenzano opinioni, smuovono le coscienze. Ecco, appunto, la coscienza, quella che dovrebbe fare di un tifoso il degno rappresentante di un intero popolo.

Sempre più spesso il calcio diventa un motivo di vergogna, un momento in cui assistiamo nostro malgrado (chissà poi quanto) a spettacoli indegni, che gettano fango su una passione, su un sentimento che accomuna tutti, al di là di una bandiera, di un simbolo, di una fede. Quel che abbiamo assistito ieri in occasione del derby della Mole fra Juventus e Torino è l’ennesimo esempio del corpo del nostro sport di cui è stato fatto scempio. Inneggiare, ironicamente per di più, alla tragedia di Superga è qualcosa che fa venire i brividi, tralasciando le banalità in cui è fin troppo facile cadere.

E non vogliamo prendercela con chi di bianconero ha ricoperto il cuore, e nemmeno con un altro gruppo qualsiasi di “tifosi”. Quel che terrorizza è che tali episodi stanno diventando pura normalità, qualcosa da cui si può prescindere, qualcosa su cui, paradossalmente, sarebbe meglio non discutere. E invece no. Urlare alla vergogna è il primo passo per estirpare questo cancro, quest’assurda e fin troppo stupida malattia da un gioco talmente bello che ci vien da lacrimare a pensare a cosa potrebbe essere senza questi orrori.

Di passi si parlava. Le istituzioni, in questo, sono fondamentali. E, a volte, siamo felici di sottolineare che il loro operato è capace di dare lustro al nostro sport. Quel che ha messo in piedi la Lega di Serie B grazie all’iniziativa “Un giorno per la nostra città” è una cosa meravigliosa: scendere in strada, nelle scuole, nelle piazze, negli ospedali per mescolarsi con chi respira il calcio giorno dopo giorno con gli occhi di un semplice tifoso, con i bambini, con chi ha davvero bisogno di sentire certezze e vicinanza per assaporare anche solo un barlume di passione pure, dà l’idea di un calcio ancora vivo, ancora voglioso di essere sano, di essere un semplice quanto bellissimo sport. E se c’è da combattere l’assurdità con il sorriso, ben venga, anche se non basta, ovviamente.

Abbiamo bisogno di un calcio che ci sia vicino, che ci possa ancora regalare momenti di gioia vera, di sensazioni reali e concrete, che abbia un futuro su cui poter credere. Far conoscere ai bambini questa faccia del mondo pallonaro è il modo migliore per introdurre un nuovo futuro, un domani fatto di rispetto, ardore, voglia di soffrire, di vincere e di perdere. Non basta, ma intanto quella faccia malata del pallone è stata nascosta in questa giornata. E il fatto che sia arrivata all’indomani di quegli striscioni beceri è un segnale, forse. Non basta nasconderla, quella faccia, la si deve combattere. Ma quel che importa, per ora, è avere la certezza di potere ancora sorridere davanti allo sport. Quello vero.

Marco Macca

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